Alluvione in Birmania, terremoti in Cina e deportazioni in Mongolia
postato il 13 Mag 2008
Ogni giorno assistiamo passivamente, seduti nelle nostre case comode e con il frigorifero pieno, ad immagini drammatiche di distruzione e di morte che ci arrivano dalla Birmania e dalla Cina, nella provincia di Sichuan, al confine con il Tibet.
Il ciclone Nargis, che pare abbia già causato più di centomila morti, era stato preannunciato alla giunta sanguinaria che solo pochi mesi fa ha represso duramente i monaci che hanno manifestato guidando l’opposizione al regime. Tutti intenti a mantenere il potere con un referendum farsa, i generali non hanno mosso un dito per salvare vite avvertendo le popolazioni e facendo evacuare chi era in pericolo. Questo spiega il numero impressionante di morti che purtroppo è destinato ad aumentare per fame visto che la giunta, con un cinismo che a noi fa orrore, ha abbandonato senza aiuti gli sfollati e sta bloccando anche gli aiuti alimentari e umanitari dell’Onu e degli altri paesi che avrebbero voluto soccorrere chi è ferito, senza alimenti e senza casa. Naturalmente il rischio di epidemie è altissimo. La comunità internazionale deve assistere a questo massacro impotente?
Il terremoto violento, era in qualche modo anch’esso annunciato. Esperti sismici internazionali avevano denunciato il pericolo costituito dall’enorme diga delle tre gole che ha formato un lago lungo 350Km che contiene più di 100 miliardi di tonnellate di acqua che avrebbe smosso le faglie che arrivano nello Sichuan. Nel 1976 un altro terremoto provocò 300mila morti poco lontano da Pechino, a Tangshan, dove non fu evacuato nessuno e le scosse di assestamento provocarono il massacro.
Sono passati più di 30 anni e la Cina vuole mostrarsi al mondo come la potenza emergente, con i Giochi Olimpici che si terranno tra tre mesi a Pechino. Tutte le contestazioni che hanno accompagnato la fiaccola olimpica sono state l’unica risposta alla violazione di diritti umani che la Cina perpetra verso le minoranze, e la regione colpita ospita tibetani, quiang e hui.
Anche in questo caso la comunità internazionale pare ormai rassegnata ad assistere impotente.
Nel villaggio globale che abitiamo la coscienza che questi disastri e queste violenze e queste morti ci coinvolgono non bastano gli sms di beneficenza.
Che fare quindi?
Che fare anche rispetto alla tragedia silenziosa che travolge le popolazioni mongole e di cui diffondo la notizia che mi è arrivata da Claudio Tecchio di Operatori USR Piemonte:
Mongolia del Sud: Verso la soluzione finale
“Nei giorni scorsi il Southern Mongolian Human Rights Information Center ,nel corso della 7° Sessione del Permanent Forum on Indigenous Issues, ha lanciato dalle Nazioni Unite un disperato appello alla comunità internazionale per impedire il completo annientamento della popolazione nomade della Mongolia del Sud.
Infatti da alcuni anni a questa parte il governo comunista cinese costringe la popolazione nomade e seminomade ad eliminare tutti i capi di bestiame, deportando poi i mongoli in territori dove i coloni cinesi controllano ormai tutte le attività economiche.
Con il pretesto di combattere la desertificazione, provocata dallo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali da parte degli stessi coloni cinesi, gli occupanti hanno infatti emanato un provvedimento che considera la permanenza sui pascoli un vero e proprio crimine.
Conseguentemente la popolazione è stata deportata , le terre e le proprietà confiscate.
Una stima, per difetto, parla di 700.000 pastori inurbati con la forza e privati di tutto.
Oltre ai beni e alle proprietà i pastori hanno dovuto abbandonare anche il tradizionale modo di vivere che era alla base dell’identità nazionale mongola.
Senza casa, senza terra, senza lavoro, reclusi nei centri appositamente creati dal regime, i mongoli si sentono prigionieri nel loro paese.
Una vera e propria pulizia etnica che si consuma nell’indifferenza del mondo, contro la quale nessuno invoca l’ingerenza umanitaria dei paesi liberi.”