In giro nel Nord Italia a parlare di politica e violenza con donne e giovani
postato il 11 Nov 2013
È difficile ridurre la ricchezza degli incontri della scorsa settimana a partire dalla presentazione di “Il complesso di Penelope” attraverso il Veneto: Vicenza, Padova e Venezia, passando per Milano agli “Stati generali dell’autonomia diffusa” e, alla fine, il ritorno alla mia città per festeggiare il compleanno della mia amica Vicky.
I nessi mi sono apparsi chiarissimi anche se la sera di sabato un po’ affastellati dalla stanchezza ma segnati nel mio corpo da un’emozione e una ipersensibilità che dovevo chetare con il sonno per poter riprendere ad occuparmi anche dei racconti della settimana a Torino di Piero, dei figli e nipoti e dei loro problemi, dei miei fiori battuti dal vento, delle cose da lavare e della polvere da spazzare, del cibo da recuperare.
Come in agosto durante il viaggio in America l’intensità dei confronti non mi ha lasciato il tempo di sentire e leggere notizie politiche diffuse dai nostri media e mi sono anche distaccata dai social network cosi, quando ci sono tornata ieri nella giornata di riposo, l’ho fatto con maggiore lucidità nello scegliere ciò che conta per me.
Comincio da un tema che mi è caro e che attraversa il concetto di appartenenza come luogo di crescita collettiva della propria identità, ma anche come cuccia calda che frena l’autonomia individuale, tema che è stato alla base della mia relazione in Settembre a Caranzano il sabato del seminario “Politica: sostantivo femminile”.
L’appartenenza può diventare purtroppo, sopratutto per i maschi, il luogo in nome del quale ci si sente legittimati anche ad agire con aggressività e violenza aggrappandosi alla bandiera che, portando nel mondo politico un’istanza di autonomia di valle, di cittadinanza, di luogo collettivo, si pensa possa coprire anche miserie, scorrettezze, e a volte, anche reati.
Voglio nominare i casi che ho incontrato in questa settimana, tutti diversi tra loro ma con nessi molto evidenti di sopraffazione del genere maschile rispetto a quello femminile.e, purtroppo anche di complicità femminile al riguardo
E non ho intenzione di dimenticare il primo fatto politico avvenuto nella mia città a partire dal rimpasto della giunta in agosto, rimpasto senza nessun significato comprensibile da chi ne stava fuori, ma che ha avuto come effetto mesi di insinuazioni nella cronaca cittadina, senza nessuna discussione in giunta nelle riunioni di maggioranza o nei gruppi e partiti di riferimento, sulle deleghe ballerine di tre assessore entrate grazie al 50% rivendicato dopo il 13 febbraio, i referendum e le giunte arancioni. L’ultima conseguenza è stata il licenziamento dell’oggi al domani senza spiegazioni di una assessora, la delega all’urbanistica soffiata ad un’altra, ripagata con quella alle pari opportunità, e il tentativo, questa volta non riuscito, di mettere in difficoltà anche la terza.Ne ho parlato già in un post precedente suggerendo di fare un bilancio delle giunte arancioni e della presenza paritaria delle donne.
A Vicenza invece è emersa la violenza giocata contro la leader del Movimento Dal Molin, spinta a candidarsi a sindaca con una lista civica da compagne e compagni di lotta e poi abbandonata sola nelle istituzioni, dove si stava adoperando anche a far circolare informazioni. Addirittura aggredita e colpevolizzata per esserci. Cinzia ne ha parlato con molta sofferenza e quella serata si sono ricuciti, almeno tra le donne, rapporti diffcili, conseguenti a quella vicenda.
A Padova invece è emersa la frantumazione del vecchio e nuovo movimento femminista, con rancori non ancora affrontati e sciolti. Paola Zaretti era indignata che si non fosse fatto molto per la partecipazione alla discussione e, la mattina dopo, accompagnandomi alla stazione, raccontandomi anche la sua tragica storia di vita, mi espresse tutta la sua amarezza per il fatto che neppure le informazioni sulle iniziative intorno al 25 novembre uscissero dai circoli chiusi delle appartenenze. Ho chiesto a Giuliana Beltrame che fine avesse fatto una femminista storica come Maria Rosa della Costa, che avevo conosciuto ai tempi di Lotta femminista e della rivendicazione del salario domestico: pur non condividendo da allora quella parola d’ordine che rischiava di valorizzare il ruolo di casalinghe ho sempre riconosciuto l’importanza di chiedere che il lavoro non pagato delle donne fosse conteggiato nel PIL, rivendicazione poi proposta da Antonella Picchio nel 1995 a Pechino e da me ripresa in una proposta di legge già presentata da Laura Balbo da ministra. In questo campo era lei a cui si doveva riconoscere la maternità. Eppure nel bellissimo libro di fotografie e testimonianze sul femminismo padovano degli anni settanta che Giuliana mi fece vedere era stata cancellata.
A Venezia ha introdotto l’incontro l’assessora Tiziana Agoatini, assessora alla Toponomastica, sotto tiro delle polemiche sui “nizioleti”, scatenata dal governatore Zaia che, vivendo “di là del ponte” dove “xe tutta campagna” non ne ha titolo. Ma attaccare un’assessora e trascinare i veneziani fa gola. Le navi da crociera di dieci piani che passano davanti a S,Marco e la devastazione del Mose, costato una cifra inimmaginabile per aprirlo massimo 5 volte l’anno non hanno sollevata tanta contestazione. Bellissima relazione e un po’ di emozione quando afferma di riconoscersi nelle lotte che racconto e nelle sopraffazioni subite dai miei compagni di movimenti e partito.
Ed è a Milano che riprendo una vicenda importante, al circolo Arci Bellezza, invitata dalle tre donne dello scherzo della bandiera, Giulia, Marica e Silvia all’incontro “stati generali dell’autonomia diffusa” a cui partecipano tre luoghi: Zam, Macao e Ambrosia per discutere su sessismo, fascismo e privatizzazione dei movimenti.
L’evento che ha dato origine è l’aggressione subita da ragazzi dello Zam per avere voluto entrare nel luogo occupato di Acqua Pubblica e aver scherzato appropriandosi della bandiera anziché lamentarsi. La determinazione ha scatenato violenza su loro e sulla loro auto e le tre amiche hanno scelto di denunciare alla polizia la violenza subita. Ho raccontato loro e poi, su loro richiesta all’assemblea il fatto, cancellato come sempre quando si tratta di fatto politico in cui le donne hanno vinto,che riguardò la prima grande manifestazione sull’aborto di sole donne nel 1976 a Roma. La cellula di Lotta Continua di Cinecittà, sotto la guida di Erri de Luca, cercò di impadronirsi della testa del corteo usando “barotti”, spintoni e botte. Li respingemmo e non ci riuscirono e alla sera invademmo il comitato centrale presieduto da Sofri che cercò per un po’ di tergiversare coprendo, se non giustificando, le responsabilità di quello che sarebbe diventato uno scrittore molto amato, recentemente ricomparso nella cronaca politica per aver difeso ogni lotta NoTav. La pubblicazione delle sue argomentazioni sull’agenda 2014 di Magistratura Democratica ha causato le dimissioni di Giancarlo Caselli che l’aveva fondata.
Le donne di lotta continua si organizzarono mese dopo mese e vinsero il congresso di Rimini, appoggiate dagli operai, sconfiggendo dirigenti e servizio d’ordine che stavano pericolosamente avvicinandosi a Prima linea e alla lotta armata. Dopo Rimini Lotta continua si sciolse perchè le donne non vollero continuare.
La mia premessa e la testimonianza di Lidia Menapace nel periodo della Resistenza e del primo dopoguerra nel movimento e con i dirigenti politici di allora presentavano nessi evidenti rispetto alla discussione che giovani donne e uomini perlopiù trentenni stavano conducendo appassionatamente nella stanza semioccupata al circolo Arci che non aveva voluto aprire la sala richiesta.
Omertà e complicità, voglia di chiarezza e di fare un passo avanti partendo dal caso specifico e non discutendo in modo generalista di violenza e sessismo: ho dovuto andarmene troppo presto per poter valutare.
Mi aspettava a Torino Vicky e non volevo mancare. Lei era stata con me in piazza e nei congressi contro i militanti e i dirigenti di Lotta continua. Non c’era Erri de Luca ma tanti altri di allora. Ho parlato con Anna Bravo e un ex LC di Firenze, entrambi molto contenti di Renzi. Anna ha denunciato un po’ di tempo fa la violenza accettata dalle donne nelle rivendicazioni dell’aborto e forse i cimiteri dei feti, che Marina Terragni denuncia con tanta passione, non la impressionano.
Tutti temi da approfondire nei luoghi adatti e con le persone interessate.
Ma per ora volevo cercare quei nessi che Lea Melandri rimprovera a parte delle femministe di oggi di dimenticare.
Commenti:
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Bellissima analisi! Complimenti. Ci offri molti spunti di riflessione e di questo dobbiamo tutte ringraziarti! Buon lavoro! Daniela
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A Venezia abbiamo parlato anche di linguaggi: di parole e di immagini che comunicano molto al di là dei contenuti. Abbiamo rimesso sul tavolo la questione dei bambini galeotti insieme alle loro mamme, della necessità di farli uscire dalle prigioni, della miopia di chi tiene in galera le madri con i figli in nome della sicurezza pur sapendo che quei bambini sono predestinati a tornare in galera da detenuti non appena possibile. Abbiamo incontrato chi è riuscita a creare a Milano l’unico ICAM (Istituto a custodia attenuata per detenute madri) tuttora funzionante. Una giornata ricca e interessante.
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E’ vero Daniela a venezia abbiamo parlato di molti progetti concreti che danno forza alle donne come l’ICAM di Milano che dovrebbe essere diffuso su tutto il territorio e di altre violenze come quelle di mamme e bambini in carcer. Grazie per la bella discussione che spero Franca Marcomin sbobinerà con il vostro aiuto così la pubblichiamo. Un abbraccio Laura
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Gentilissima, come posso contattarla per parlarle di un progetto di cui mi sto occupando? (http://progettocontaminata.wordpress.com/) Grazie mille! Alessandra