La Cassazione: Musica e film si possono scaricare dal Web
postato il 22 Gen 2007Meglio tardi che mai. Finalmente una sentenza al passo con i tempi che cancella una condanna a due giovani informatici di Torino, che sfruttando la banda larga del Politecnico e costruendo un “peer to peer” prima che funzionasse Napster aveva messo in piedi una rete per scaricare gratuitamente musica e film.
Il mio ex-collega Claudio Vitalone, ex-dc finito nei guai ai tempi di tangentopoli e ora presidente della Terza sezione penale della Corte ha riconosciuto che scaricare file da internet non è reato se non c’è finalità di guadagno, come era appunto il caso di Eugenio Rizzi e del suo compagno che avevano sfidato il diritto d’autore per permettere la libera circolazione della cultura e la libera fruizione delle idee e della creatività artistica a tutti.
Quando discutemmo nella scorsa legislatura l’attuale legge voluta da Berlusconi che condanna penalmente chi scambia file illegali, come musica, film e programmi informatici, e prevede una sanzione amministrativa per chi scarica anche solo una canzone, i Verdi rivendicarono la libertà di accesso se non c’era guadagno ma molti, anche a sinistra, si scagliarono contro la “pirateria”.
Anche oggi, dopo questa sentenza la Siae e la FIMI prendono le distanze dalla sentenza e difendono la legge.
Il governo Prodi sarà capace di modificare in senso più libertario quella legge?
Commenti:
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Attenzione! Non è assolutamente così.
L’attività di download non è di per sé tra i reati della legge, né previgente né attuale (decreto Urbani). Il download diviene reato se si scaricano file protetti da diritti d’autore. La legge oggi parla di “profitto” anziché “lucro” allargando così il campo di applicazione. Il profitto può infatti essere anche in forme non strettamente economiche, basti pensare all’aver evitato di pagare la canzione scaricata. In tal senso il download rimane reato. Ovviamente il legislatore dovrà intervenire considerando quali sono i comportamenti che la società considera leciti, per stare al passo coi tempi.
Di maggior riguardo penalistico l’attività di download volta al lucro, come la vendita di quanto scaricato. Qui, oltre a ledere il diritto d’autore e aver avuto un profitto, c’è anche il lucro e torniamo nel campo di applicazione che era vigente anche prima del decreto Urbani.
Questo per riassumere il quadro normativo.Ma la sentenza di cui stiamo parlando, quella del 9 gennaio, va a parare altrove: sull’attività di upload dei files. Attività che di per sé non è reato, nemmeno la condivisione di file protetti da diritto d’autore. Il soggetto è libero di condividere mettendo in rete su proprio server. Chi scarica però trae un profitto non dovendo pagarla (infatti l’imputato metteva gratuitamente in rete i files a patto che gli utenti registrati condividessero altro materiale). Chi scarica, secondo la normativa, dovrebbe corrispondere il compenso all’autore per il diritto (e alle SIAE secondo le regole vigenti).
Mentre all’epoca dei fatti si parlava di lucro: era lecito l’upload purché non volto al lucro come la speculazione economica in barba alle leggi sul diritto d’autore. All’epoca, quindi, gli imputati non fecero reato mettendo a disposizione materiale per gli utenti della rete. Oggi, invece, sarebbe reato perché l’upload rientrerebbe nel campo di applicazione della normativa per qualsivoglia profitto (anche in natura).Questa mia nota integra quella di Carlo Sgarzi (pubblicata anche su Punto Informatico e sul mio blog). Egli spiegava il riferimento temporale delle normative, io aggiundo i risvolti sul lucro/profitto. Ciò onde evitare che si diffonda un’idea che è sbagliata.
Luca Lodi