Stato e antistato: prima parte
postato il 23 Mar 2010
Quarta lezione Bobbio 2010 presentata dal figlio Andrea con Gian Carlo Caselli e i figli di Ambrosoli e Casalegno, che hanno scritto della morte dei loro padri in due libri: “Qualunque cosa succeda”, premio Capalbio, e “L’attentato”.
Il nostro sistema intriso di rapporti con mafie e corruttori/corrotti è “l’emblema del prevalere dell’interesse privato su quello pubblico”.
Quanti al potere difendono le istituzioni democratiche o il proprio clan e i propri interessi? Quanti si sono schierati da una parte o dall’altra dalla nascita del nostro Stato ad oggi?
Si configurano in Italia costantemente due gruppi di potere, due componenti nella stessa classe dirigente del nostro paese che convivono e, a fasi alterne, predominano l’uno sull’altro.
Questa è la tesi sostenuta da Caselli che la sostanzia con esempi che risalgono a tutto il secolo scorso. In particolare porta l’attenzione sulla prima grande strage di stato: Portella della Ginestra che darà il via alla strategia della tensione del controstato che deve riguadagnare terreno rispetto alla cultura della legalità emersa nella guerra di liberazione e codificata nella nostra Costituzione.
Il nuovo stato non ha la forza di contrastare a fondo l’onda di violenza che colpisce poi centinaia di sindacalisti contadini che cercavano di contrastare il potere del latifondo e della mafia in Sicilia. Nei vertici della magistratura c’era stata una continuità dal fascismo che si interromperà solo negli anni sessanta, quando le donne entreranno in massa come garantiva loro la costituzione.
Il principio di parità nella magistratura non era mai stato attuato perchè questa classe di giudici compromessa con il precedente regime aveva paura delle donne che sicuramente non sarebbero state loro complici. Chi era stato procuratore del governo di Salò e ora guidava la più alta istituzione repubblicana della giustizia, la Corte Costituzionale, tollerava, e alcuni promuovevano dall’interno dello Stato, l’attività di bracci armati stragisti e terroristi, di mafie e di corruzione: da Piazza Fontana alla strage di Piazza della Loggia a Brescia, dall’Italicus alla stazione di Bologna, Palermo, Milano, Firenze e Roma nel 1993, agli omicidi del giudice Ambrosoli e di tanti altri che hanno rifiutato la connivenza con la mafia come Rostagno, ai testimoni e agli esecutori come Giuliano e Pisciotta, fino all’uccisione di Falcone e Borsellino con le loro scorte.
Solo Andreotti sarà chiaramente indicato dalla sentenza di Palermo come complice di mafia fino alla primavera del 1980. Quella mafia di Ciancimino e dei Salvo, infiltrata ai massimi livelli delle istituzioni siciliane, con cui aveva trattato anche per evitare l”uccisione di Mattarella e anche dopo, quandò andò a chiedere conto a Bontade dell’assassinio mantenendo un silenzio omertoso di fronte alla giustizia.