Tibet e Cina: silenzio assordante e imbarazzo

postato il 17 Mar 2008
Tibet e Cina: silenzio assordante e imbarazzo

La rivolta dei tibetani a Lhasa e in Nepal, la marcia partita dall’India per denunciare la repressione cinese in vista delle Olimpiadi hanno costetto finalmente i media a parlare del fatto che ci sono morti e feriti, oltre ad arresti e minacce.
A chi non era chiaro perchè gli USA, tradizionali amici del Dalai Lama che avevano ricevuto recentemente al Congresso, avessero ceduto ai ricatti cinesi e da pochi giorni avessero depennato la Cina dai paesi che violano i diritti umani è stato svelato il mistero: la Cina è il primo creditore e la crisi americana è sempre più drammatica.
Quindi non siamo più sotto il gendarme americano e la consegna sta passando a quello cinese?
Le scelte del governo cinese di puntare tutto sulla crescita economica reprimendo diritti umani e sindacali anche interni era chiara a tutti. Il suo appoggio a dittature sanguinarie come quella birmana ha fatto scendere il silenzio sulla rivolta dei monaci in quel paese e farà tacere anche l’informazione sulla repressione e “il genocidio culturale” dei tibetani. Eppure proprio il Dalai Lama con la sua politica non violenta e ricerca continua del dialogo aveva teso a Pechino una mano per incamminarsi anche verso il riconoscimento delle diversità religiose e culturali interne ed esterne, senza minare i fondamenti statuali, confini compresi.
Oggi il silenzio dei governi su ciò che sta avvenendo non solo in Tibet ma anche in Birmania e in Africa per l’arroganza cinese comincia ad essere pagato anche da tutti quelli che pensavano di imbrigliare la Cina facendola entrare nel WTO ed arricchendosi grazie al duro lavoro dei cinesi.
Neppure il protocollo di Kyoto ha tenuto conto dell’inquinamento drammatico che il rapido progresso cinese sta producendo.
Non possiamo accusare solo il Papa del silenzio. Anche se proprio la repressione feroce dei veri cattolici in Cina, dovrebbe essere denunciata e non passata sotto silenzio legittimando di fatto la farla chiesa governativa di Pechino.
Tutti quelli, amministratori locali compresi, che si sono piegati ai ricatti cinesi oggi, grazie alla rivolta tibetana dovrebbero avere il coraggio di affrontare la questione Cina in modo meno opportunista. A cominciare dall’Onu a cui il Dalai Lama si è appellato. E dall’Europa che se vuole avere un peso politico nel mondo non può tacere.

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