Il Leone d’oro a Pieta, autocritica ambigua della società patriarcale/capitalistica
postato il 9 Set 2012
È sempre emozionante tornare a Venezia all’inizio di Settembre, incontrando le amiche ecologiste e femministe per fare il punto insieme.
Luci e colori che scivolano verso l’autunno rendono il paesaggio più dolce e la malinconia di fine estate si infiltra nelle calli e nei canali dove vagano gli ultimi turisti sulle gondole.
Il Lido si anima di star, giornalisti e cinofili che vagano di sala in sala saltando da una proiezione all’altra mentre le nonne veneziane godono l’ultimo sole nei capanni, badando ai nipotini che si tuffano ancora in un mare ormai freddo.
Quest’anno ho deciso di vedere pochi film, alcuni al Lido e altri a S.Polo e a Mestre, tre di donne registe di paesi che stanno rapidamente cambiando e due di registi, uno italiano e l’altro coreano, quello che poi è stato premiato.
Cominciamo la sera di lunedì a Mestre con il film di Ciprì “E’ stato il figlio”. Un Servillo, splendido protagonista come sempre, e un giovane figlio, il cui interprete sarà premiato, vittima tragica della mentalità mafiosa che contrappone il suo ordine a quello dello Stato e della sua giustizia inefficiente. La mafia riporta l’ordine attraverso una nonna affettuosa, a cui è stato appena ucciso il figlio, e che non esita a sacrificare il nipote ritardato per salvare quello mafioso ed assassino. Ciprì assegna l’immagine simbolica della mafia che riporta il suo ordine nella famiglia, e nella società, a questa nonna, che fino ad un attimo prima aveva ricoperto il ruolo tradizionale, sempre in ombra rispetto al figlio capofamiglia. La Mafia nonna: per noi femministe c’è materia di riflessione visto che Ciprì è un giovane regista. Franca ed io ci sbellichiamo dalle risate perché il film è divertente e anche le uccisioni mafiose scivolano nella commedia e non se ne coglie il dramma. Una bimba, vittima che si ribella inutilmente perché il padre la costringe inconscio ad andare incontro alla morte che sfrutterà per liberarsi dall’usura e regalarsi la Mercedes, simbolo di ricchezza che porta alla distruzione. Un figlio ritardato, vittima sacrificale per riportare l’ordine.
Nulla è successo è la frase che chiude le tragedie siciliane, come ci racconta a Caranzano l’amica che ha riscritto la vicenda di Franca Viola.
Di figli ritardati si occupano le due registe, la russa Lyubov Arkus e la tunisina Aida Kaabi, che affrontano la crisi attraverso l’azione salvifica delle madri e delle donne durante i rivolgimenti politici, come la primavera araba, che nulla cambiano del loro stato e di quello dei loro figli sottoposti alla violenza della società patriarcale. La turca Yesim Ustaoglu affronta la vicenda di una diciottenne, sedotta ed abbandonata, sola e disperata di fronte alla gravidanza, come era successo alla sua collega più grande, che il figlio l’aveva abbandonato senza riuscire mai a perdonarselo. Madri sole con i figli, padri violenti, alcolizzati e comunque assenti. Donne che contrastano con l’amore la violenza.
Pieta di Kim Ki-duk, che ha vinto inaspettatamente il Leone d’oro, affida ad una falsa madre, in cerca di vendetta a prezzo del suo suicidio finale, la salvezza dello spietato strozzino che rende storpi i debitori dell’usuraio per cui lavora, per riscuoterne il premio assicurativo. Si salva solo il giovane che ritrova la pietà, grazie alla donna che gli sta vicino pur subendo anche la violenza sessuale, le botte e l’insulto di “puttana”, e che perde il gusto della vendetta impietosendosi nella sua azione salvifica.
Il dramma del conflitto donna-uomo è centrale quest’anno e le letture opposte che ne fanno i registi (premiati) e le registe, non riconosciute ma capaci di dare una speranza a crisi e rivoluzioni, è occasione di ulteriore riflessioni per chi guarda la società con occhi femminili.