Come ci organizziamo e chi ci rappresenta?

postato il 19 Giu 2014
Come ci organizziamo e chi ci rappresenta?

Mi pare interessante questa fase, anche se faticosa, per provare a rispondere un po’ diversamente dal solito a queste domande a cui per la maggioranza di italiani (quella che non vota più e che è il più grande partito senza rappresentanza) nessuna forza politica sa rispondere. Come ci organizziamo e chi ci rappresenta?

C’è un gran fiorire di proposte in queste settimane post voto tra molti attivisti ed ex-candidati della lista Tsipras per capire come arrivare alla assemblea del 19 luglio che dovrebbe decidere l’avvio di una fase costituente di una “cosa” complessa che non ha nome né chiara identità, ma che vuole essere la trasposizione in Italia di quell’esperienza, relativa alle elezioni europee, che ha superato di un soffio la soglia ma ha sollevato tante speranze.

C’è anche un aggregarsi spontaneamente in quelli che si chiamavano “gruppi di affinità”: i giovani, ecologiste/i, indipendenti, ex-candidati. Rimangono i partiti strutturati Sel e Rifondazione che stanno vivendo la fase di  lento declino senza accettare di sciogliersi nella prospettiva di un nuovo soggetto politico e, nello stesso tempo,  volendo giustamente partecipare al processo in corso al di fuori delle loro appartenenze.

Garanti, eletti e comitato organizzativo nazionale sopravvissuto in una associazione che doveva essere provvisoria per gestire fondi e campagna, restano le uniche autorità riconosciute.

Il soggetto più politicamente aggressivo, anche nei confronti della Spinelli e dei garanti, che si propone come guida, sono i giovani. Uso un brano di un venticinquenne Claudio Riccio, apparso sul blog dell’Espresso, perché mi ha molto colpito. Si intitola” noi rifiutiamo il vostro futuro feudale” e afferma tra l’altro: “Non ho mai amato la categoria dei giovani, anzi, posso dire che fino a poco tempo fa sostenevo convintamente: “io odio i giovani”. Odio i giovani come categoria, odio il fatto che un quarantenne sia giovane, odio i cognomi che suonano familiari nei posti chiave del Paese ed i giovani prof. Universitari che fanno carriera cooptati dal loro stesso papà, odio chi dice che ci vogliono più giovani in politica, dato che ho visto fare ai giovani politicanti azioni più becere di vecchi squali democristiani di 80 anni, odio i giovani come categoria indefinita, odio le generalizzazioni, tanto quanto “odio gli indifferenti”, indipendentemente dalla loro età.
Con ciò non voglio dire che non esista una questione giovanile in Italia. Esiste una condizione dei giovani simile a quella di altre categorie discriminate dalla miopia e dall’individualismo dell’Italia: i giovani, come le donne, come gli stranieri, come i più poveri, non hanno spazio e alcun peso decisionale nella vita del Paese.”

L’unico soggetto politico che in Tsipras non si incontra autonomamente sono le donne, nonostante sia nel comitato nazionale che come candidate e coordinatrici di comitati territoriali ci siano molte amiche femministe. Nelle riunioni provinciali e regionali dei comitati si notano molte donne che hanno mantenuto l’organizzazione, senza denaro e aiuto nazionale. Il 50&50 non ha prodotto una direzione femminile, una direzione autonoma che si pone anche in conflitto quando occorre, come stanno facendo ora i giovani. Né ha prodotto elaborazioni e proposte visibili e valorizzate: basta scorrere i tanti contributi singoli, spesso logorroici e vecchi nell’impostazione che poco tiene conto della complessità del soggetto, per accorgersi che sono tutti maschili. Mi fa molto pensare che non si sia riuscite a creare luoghi di confronto ed elaborazione neppure ora.

In questa fase io caldeggio la piena libertà di incontro tra gruppi di affinità ma vorrei un percorso che fosse simile in tutte le circoscrizioni dove i vari soggetti, le diversità che hanno fatto ricca la lista, i gruppi che hanno discusso si confrontino con minime regole democratiche comuni. Assemblee regionali, provinciali e di circoscrizione. I garanti hanno indicato all’inizio del processo un possibile percorso che non era sufficiente a governare la complessità delle contraddizioni e che andrebbe completato in assemblee territoriali dove c’è più spazio anche per le donne di esprimersi.

Dice Sergio Labate in un bel documento problematico che occorre costruire una coalizione sociale e una comunità politica, ma non più una coalizione politica, non più un nuovo soggetto politico perché “non è più lecito pensare di andare avanti senza fiducia, rivaleggiando tra di noi, lavorando chi per uno chi per altro. Abbiamo bisogno di un tempo in cui deporre le armi.” Se si vogliono davvero deporre le armi noi donne dobbiamo dirigere il processo perché gli uomini. giovani e vecchi, saggi e rampanti, difficilmente riusciranno a farlo se sono soli e si parlano tra di loro. Noi abbiamo esperienza di movimento politico, di organizzazione e di associazione che per l’appunto sono coalizione sociale e comunità politica. Con tanti difetti e debolezze ma con la capacità quando occorre, di superare steccati e costruire ponti.

L’ho verificato proprio in questi giorni di femminicidi e figlicidi spaventosi: coltello alla schiena dopo aver fatto l’amore, figli sgozzati nel sonno e poi il tifo per la squadra ai mondiali. Calci, pugni e picconate per uccidere la propria compagna di vita. Ho lanciato un grido di mobilitazione e stanno rispondendo tante, al di là delle appartenenze in tutta Italia. Ma non voglio continuare ad essere schizofrenica come quando ho cominciato a far politica negli anni settanta dove le donne erano costrette alla doppia militanza. Poi è venuto il separatismo femminista e oggi dobbiamo avere gli spazi politici per affrontare questa disgregazione famigliare e sociale, questa violenza insopportabile nella forza politica che frequentiamo. Dobbiamo verificare che tutt*, proprio tutte e tutti, sentano che non possiamo prescindere da questa drammatica realtà su cui si divertono psicologi e sociologi a pontificare. Una realtà che va affrontata politicamente in un luogo in cui differenze di genere e di generazioni sono capaci di capirsi e di proporre.

Nessuna organizzazione nuova, nessuna rappresentanza che prescinda da questa realtà. Cari giovani, spero proprio che siate d’accordo con me. Fioriscano cento fiori e diano frutti.

 

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