Come vanno le cose in Italia

postato il 11 Dic 2021
Come vanno le cose in Italia

Appena sveglia stamane ho letto questa lettera pubblicata da Loredana Lipperini che ringrazio. Ma non mi basta più meditare e denunciare. E tantomeno dare solidarietà. Voglio che si inverta la situazione. Urge raggiungere la certezza collettiva del cambiamento che il bel commento di Daniella Ambrosino, amica stimata da tanti anni, esprime rispetto al mio ultimo post “Sempre peggio” Le tre donne che nomina andranno coinvolte e appoggiate, ma anche tante altre.

Grazie Loredana per questa testimonianza che hai condiviso ma grazie soprattutto alla sorella che l’ha resa pubblica. Dobbiamo coinvolgere le elette, a cominciare dalla Valente che presiede la commissione contro le violenze e i femminicidi, le magistrate e le avvocate, le insegnanti, le giornaliste a partire da questa lettera e dalla sofferenza intollerabile che ci comunica:

Ho ricevuto un lungo messaggio. Non importa il nome né il luogo da cui proviene né altri dettagli. Chi lo ha scritto non chiede aiuto: ha chi la supporta ed è seguita sia a livello legale che psicologico. Se mi ha scritto, è stato per sensibilizzare su un punto, indispensabile: “chi arriva alla decisione della denuncia e delle separazione, deve poi attendere dei tempi biblici per la realizzazione della propria liberazione. È un doppio inferno. E io ho avuto mezzi e strumenti per “resistere”, ma molte non ce la fanno. E soccombono o fanno passi indietro”. Ecco cosa mi ha scritto. Vorrei che venisse meditato, molto. “Ho pensato a lungo se scriverle o meno, perché la mia è una banale storia di violenza domestica, senza alcun tipo di colpo di scena (fino ad ora), uguale a mille altre storie seppur nella sua unicità. Le scrivo oggi, nel giorno dell’udienza presidenziale per la mia richiesta di separazione. Non le racconterò delle vicissitudini quotidiane, dello squallore degli ultimi anni, delle sofferenze subite da me e dalle mie figlie. Vorrei raccontarle del “dopo”, di quello che accade quando, grazie a tre anni di psicoterapia (e ventidue di abusi), una donna prende coscienza di sé e della sua situazione e decide di mettere la parola fine alla sua sofferenza gratuita quotidiana. Lei molto spesso ha scritto con pertinenza della difficoltà per una vittima di arrivare a riconoscersi come tale e poi del passo successivo che è quello di chiedere aiuto e denunciare. Io ho chiesto aiuto una prima volta nel 2011, ma forse i tempi non erano maturi e non ho avuto l’assistenza richiesta: non sono più andata agli incontri e loro non mi hanno più cercata. La prima querela contro mio marito per aggressione (tentò di strangolarmi) sempre del 2011 finì in un nulla di fatto: da vittima da manuale di un manipolatore maligno supplicai il giudice di archiviare il procedimento, dicendo che il comportamento di mio marito era solo conseguenza del fatto che io lo avevo provocato. E il giudice archiviò. Quest’anno, a quarantasette anni, con due figlie vittime anch’esse della situazione (in cura presso uno psichiatra la grande e in terapia psicologica la piccola) ho trovato coraggio e risorse per voltare pagina: ho trovato un’avvocata seria e generosa che mi ha seguita passo dopo passo nel percorso per la separazione giudiziale (perché l’abusante non lascia andare facilmente la sua vittima e costringe alla strada più tortuosa per la separazione), ho avuto l’appoggio incondizionato della mia famiglia (che era del tutto ignara delle mie difficoltà e da cui mi ero parzialmente allontanata nel corso degli anni) e mi sono rivolta ai Carabinieri presentando tre denunce querele, corredate da materiale audio e da chat di WhatsApp. La prima denuncia che ha fatto attivare il Codice Rosso risale a metà settembre. Il brigadiere che ha raccolto la querela mi ha dedicato l’intera giornata, rinunciando alla sua pausa pranzo e andando oltre il suo turno di lavoro: il tribunale affida la delicata operazione di raccolta di notizie sommarie alle forze dell’ordine, riservandosi in un secondo momento di contattare la vittima. È stata una giornata estenuante, in cui ho dovuto raccontare e fare comprendere a un estraneo in poche ore tutto il mio dramma, producendo le prove audio che avevo a disposizione. Da quel giorno a livello istituzionale non è successo nulla. Tanto che fino ad oggi ho dovuto sporgere altre due denunce, di cui l’ultima una settimana fa, con tanto di venuta dei carabinieri a casa mia e piena ammissione da parte di mio marito davanti ai militari delle minacce rivoltemi. E ancora nulla. E lui che, impunito, peggiora il suo comportamento giorno dopo giorno. E io sola, alla sua mercé, con il solo supporto del mio avvocato. Oggi all’udienza presidenziale al tribunale per il primo atto della separazione giudiziale sono entrata in una stanza anonima, con una presidente che scriveva al computer senza guardarmi in faccia e che trattava il voluminoso faldone con dentro gli ultimi vent’anni di vita e sofferenze miei e delle mie figlie come un atto burocratico da sbrigare al più presto perché avevamo superato l’orario del pranzo. Alla richiesta della mia avvocata di adottare delle misure di protezione per allontanare mio marito tempestivamente da me e dalle ragazze la presidente ha dato in escandescenze, affermando che se c’era già il Codice rosso della procedura penale allora ci avrebbe pensato il PM a prendere quelle misure e che lei non aveva alcuna intenzione di emettere il provvedimento delle misure di protezione che avrebbe significato un’altra udienza tra quindici giorni “alla vigilia di Natale!” , non considerando che dalla prima attivazione del Codice rosso erano già trascorsi tre mesi senza che si muovesse nulla. Ecco, cara Loredana, quello che succede dopo che una donna vittima di violenza denuncia: nulla. La macchina burocratica si inceppa, il meccanismo non è oliato, i compartimenti della giustizia civile e penale non collaborano e non dialogano (io oggi sono rimasta annichilita dalle urla stizzite della presidente, mi sono sentita svalutata, non creduta, mortificata e molto stupida nell’aver creduto nella giustizia). E noi “vittime” che abbiamo avuto il coraggio e la fortuna di riuscire a ribellarci restiamo sole con le nostre paure, fino a quando succederà qualcosa di più grave che ci farà finire sulle pagine dei giornali (cosa di cui farei volentieri a meno), date in pasto a un pubblico che ci farà violenza altre migliaia di volte”.

Commenti:

  • Franca 11 Dicembre 2021

    Orrore! In un paese in cui oramai siamo diventati tutti uomini e donne dei sudditi tenuti sotto controllo e spesso puniti attraverso una burocrazia informatizzata maligna da parte di una classe politica di maschi ciechi e indifferenti noi donne sempre di più stiamo diventando le vittime sacrificali, nuda vita da annientare, insieme agli altri ultimi, i migranti. Per noi donne e migranti (e aggiungo animali da allevamento e da pasto) si abbatte la violenza del macello in mare per gli uni, nel macello domestico per noi donne. E attorno solo cecità indifferenza complicità. Fa male vedere che tra i ciechi e gli indifferenti ci siano anche donne e donne che hanno un grande potere sugli esseri umani come le magistrate. Queste da denunciare come gli uomini violenti per il loro specifico abuso, la violenza giudiziale.

  • Simona 11 Dicembre 2021

    Cara Laura rimango senza parole quando leggo storie di donne che subiscono violenze ed e’ la giustizia a cui loro si appellano che non fa nulla. Mi fa rabbia poi della presidente DONNA che si comporta con indifferenza. Nella mia bella Calabria ma direi ormai ovunque si parla e si legge di donne che subiscono violenza dagli uomini. Qualche giorno lessi di un pregiudicato di orgini napoletane che a Reggio Calabria ha tentato di uccidere la moglie dandole fuoco mentre era in macchina ed ustionandola gravemente. Ma poi mi rincuorano le notizie riguardanti manifestazioni in cui si grida a gran voce “NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE” coinvolgendo intere citta’, associazioni ed istituzioni. Ed allora perche’ non si prendono provvedimenti a riguardo visto che le leggi ci sono ma come al solito non si mettono mai in atto. E proprio come ci suggerisce la protagonista della lettera “CI SI ASPETTA CHE CAPITI QUALCOSA DI PIU’ GRAVE PERCHE’ SE NE PARLI PER FAR NOTIZIA…MA CON IL SOLITO ED UNICO RISULTATO..IL NULLA”. La tristezza di tutto questo dire e’ il fatto che quella donna che non c’e’ piu’ perche’ l’uomo ha raggiunto il suo obiettivo viene riposta nel dimenticatoio ed il piu’ delle volte se ci sono figli vengono lasciati soli. Tutto cio’ e’ vergognoso.

  • maririrriaria 13 Dicembre 2021

    Tristezza infinita. Non possiamo aspettarci niente dalle istituzioni… E neanche da alcune donne che le occupano senza consapevolezza come racconta la nostra malcapitata. Il potere che le donne devono acquisire non può e non deve essere quello che è tutto dentro al feroce modello patriarcale… Liberazione perciò è non emancipazione. Liberazione da questa cultura della morte e del disprezzo della vita… Liberazione come affermazione della Democrazia come Amore come ci hai insegnato tu, Laura Cima

  • Ado MIC 14 Dicembre 2021

    Commento di prova MADEINCIMA. Questo commento è inviato per testare il funzionamento di ricezione notifica nuovi commenti all’indirizzo: cimalaura@gmail.com

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