Tempi difficili e nuove generazioni

postato il 15 Lug 2024
Tempi difficili e nuove generazioni

Ieri tutta l’attenzione dei media era rivolta all’attentato a Trump e alla situazione Usa in vista delle elezioni presidenziali di novembre, con il concorrente e attuale presidente, Biden, con segni evidenti di carenza di lucidità dovuta a Parkinson o Alzheimer. Il carisma di Trump è aumentato enormemente dopo la sua immediata reazione di alzarsi con il pugno chiuso e l’orecchio sanguinante con lo sfondo della bandiera americana. Le foto diffuse ricordano quella famossima “Raising the flag on Iwo Jima”, alzabandiera nell’isola giapponese del Pacifico degli americani contro i giapponesi nella seconda guerra mondiale che fu seguita da Hiroshima e Nagasaki. Capitol Hill e le responsabilità trumpiane sono accantonate.

L’attentatore giovanissimo in tuta mimetica ha sparato da un tetto con un fucile rubato al padre ed è stato immediatamente ucciso da quei servizi di sicurezza che non avevano saputo prevenire l’attentato. Un pompiere nel pubblico è morto e ci sono due feriti gravi. Questo il risultato drammatico del tentativo violento di un giovane che aveva paura di cosa succederà se Trump diventerà, come è ormai probabile, presidente. La spirale di violenza ha sostituito il confronto politico in questa campagna elettorale tra due vecchi candidati e le nuove generazioni maschili sono totalmente espropriate.

Quelle femminili, relegate nelle vice come Kamala Harris, attuale vice di Biden, esclusa la candidata presidente Hillary Clinton, battuta a suo tempo da Trump, non hanno voce.

Attentati da un giovane maschio, concerti come quello di Taylor Swift per le giovani donne, questo è lo spazio riservato alle giovani generazioni. Diciottomila in gran parte giovani donne arrivate dagli Stati Uniti per sentirla.

Come fermare le violenze di giovani maschi che sparano, accoltellano o stuprano le donne in un mondo in guerra e con un vecchio potere patriarcale che comanda economia, politica e guerre dovrebbero dirlo generazioni diverse di maschi capaci di confrontarsi. I più illuminati cominciano a suggerire sottovoce che bisognerebbe lasciare spazio pubblico alle donne.

Ma noi donne come ci stiamo preparando? Basta avere una presidente come Meloni e una oppositrice con Schlein? Basta sostenere Ursula Von der Leyen?

Credo che se non abbiamo una visione politica alternativa al patriarcato, e non siamo capaci di diffonderla alle nuove generazioni di maschi e femmine, rimarremmo a gestirci da ancelle il contropotere nascosto andando ai concerti se troviamo un biglietto.

Riprendo qui da La Repubblica l’intervista a Levenstein, autrice di “Non ci hanno visto arrivare” citato da Schlein e Meloni, di cui parlerò nel mio prossimo post perché lo ritengo molto utile da conoscere: «non diamo a Taylor Swift dell’icona femminista perché è un errore che saggiamente non fa neanche lei, continuando a fare canzoni sugli affari sentimentali. Non è irrilevante che abbia coltivato una fandom prevalentemente femminile. Fondamentale per il suo successo è NON RIVOLGERSI ai MASCHI che, per una volta, non sono invitati a parlare. Le sue canzoni sono il resoconto e la reazione a esperienze in cui quasi tutte si riconoscono, considerate banali e irrilevanti dal pensiero (maschilista) dominante. Il NUOVO FEMMINISMO sottolinea l’importanza di mettere al centro la gioia e il senso di community, come ai concerti. Il problema è che il prezzo da pagare per entrare al The Eras Tour è più facile che se lo possano permettere persone white, cis, di classe medio-alta e quindi i concerti non hanno nessuna lezione da dare se pensiamo a un movimento interrazziale e interclassista. Ma intendere il movimento femminista ancora come persone in strada coi cartelli è il vecchio contro il nuovo stile e ci sono modi diversi di attivismo, come di seguire una popstar. Nei 90, il FEMMINISMO è stato uno dei primi movimenti a riconoscere e cogliere le possibilità di organizzarsi online. Lì hanno ideato strategie creative per condividere idee, ampliando la portata del movimento.

Sophie Gilbert sull’Atlantic ha scritto che “Swift è una donna straordinariamente potente col complesso di non avere potere reale. Non credo che si senta priva di potere. Penso semplicemente che si renda conto che fama e fortuna NON ti PROTEGGONO dal SESSISMO, dall’avere il cuore spezzato, dall’essere umiliata pubblicamente, dal fare errori e lottare con le emozioni che tutti proviamo. Swift è un genio perché ha realizzato che condividere il lato vulnerabile di sé risuona di più».

Fare canzoni apparentemente d’amore dà empowerment?

«Veramente è stata Bell Hooks (pseudonimo della scrittrice Gloria Jean Watkins) a teorizzare in “Tutto sull’amore” quanto ci sia bisogno per le femministe di parlarne e quanto sia la forza centrale. La scelta di ri-registrare il catalogo musicale per appropriarsi dei diritti è un ATTO di RESISTENZA importante (nel 2019 l’etichetta che li possedeva, la Big Machine Records, è stata venduta a Scooter Braun, manager di vari musicisti, tra cui l’odiato Kanye West)».

Il Time però titolava: Il femminismo è morto, ucciso dal glamour e dalle popstar…

«Se dovessi elencare i problemi che il femminismo si trova ad affrontare oggi, il glamour non farebbe parte della lista! Stiamo assistendo all’ascesa di un movimento estremista di destra finanziato da miliardari liberali con diverse versioni in zone del mondo dove sicuramente è passato l’Eras Tour. Si sentono minacciati da ciò che è multirazziale, dal DIRITTO all’ABORTO, dalle donne che vogliono Have It All. Questa è la minaccia, non il fatto che star come Swift apprezzino la moda».

Quello che mi colpisce di Swift è che non ha mai cercato di diventare la portavoce di tutte. Ha richiamato l’attenzione sui risultati delle altre, tra cui Beyoncé che i media provano a metterle contro, ma quando è servito ha cantato la sua a Kim Kardashian. Mi piace anche che non scelga le donne a prescindere, infatti i testi li fa editare da due maschi».

Perché non le piace la parola “onda” femminista?

«Perché è un’espressione che tende a far concentrare sui “picchi” dimenticando l’attivismo che c’è tra un’ondata e l’altra».

Cosa potrebbe fare TS per l’America e, di rimando, per noi?

«Incoraggiare a NON VOTARE TRUMP. Fare donazioni e aiutare le organizzazioni femministe e antirazziste. Non mi piace dire agli altri cosa fare, ma la posta in gioco e i costi del silenzio sono così alti che sono pronta a rimangiarmi tutto su quello che ho detto di buono su di lei!».

Pubblicato in: Donne, Esteri, politica,
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