Tre donne e un intervento
postato il 13 Nov 2021
Sono stata dimessa due giorni fa e forse sono uscita da un incubo durato due anni. Le probabilità di superare questo stato invalidante a cui mi portava il mio cuore, con i suoi sbalzi da 60 a 177 battiti, all’inizio erano del 50%. Il Rizzoli di Ischia che mi aveva fatto la prima diagnosi quando ero svenuta, e il cuore si era fermato, alla fine di una bellissima giornata a Sant’Angelo, dopo terme, mercatino, camminata e bagni, mi aveva sbattuto nella categoria dei cardiopatici, con tutte le incertezze tra invalidità e morte che porta come possibilità. L’agitazione di chi mi attorniava mentre aspettavo l’autoambulanza contrastava con la tranquillità cosciente di una che resuscitava avendo provato l’anticamera della morte. Il mio amico medico ecologista romano, da cui avevo cercato subito conforto, mi aveva rassicurata raccontandomi che si trattava di un malessere diffuso a cui i contadini che curava non davano più di tanto retta, fermandosi semplicemente quando succedeva, e cambiando vita e dieta. Mi sconsigliava caldamente di sottomettermi ai protocolli che prevedevano l’uso di anticoagulanti a vita. Il primo cardiologo consultato, che naturalmente me li aveva prescritti, quando gli avevo detto le mie perplessità, mi aveva posta di fronte a questa scelta: l’ictus se li rifiutavo e l’emorragia celebrale se li prendevo. Nonostante mia madre fosse morta di ictus dopo mesi di immobilità, ho resistito un anno e mezzo con l’aspirinetta e poi, ho dovuto cedere per la frequenza delle fibrillazioni. Nel frattempo si era aperta la speranza di guarire curando il nervo vago, che qui nessun specialista sa più che funzione fondamentale ricopre, a differenza di Africa e Asia e dei medici di un po’ di decenni fa. Ma su questo tornerò.
Quello che voglio raccontare è come tutto ciò sia avvenuto insieme al diffondersi della pandemia, al confinamento, alle paure e alle malattie di famigliari, e anche alla morte solitaria di amiche e amici carissimi. Una svolta radicale per una nomade come me, impegnata nei movimenti politici dal ’68, ancora in piena attività e sempre in ottima salute pur avvicinandomi agli ottanta, con tante relazioni importanti in tutta Italia e non solo, sempre stimolata e accompagnata dalle donne che mi hanno preceduta e da quelle che mi hanno accompagnata con passione, empatia e creatività. Avevo dovuto reinventare tutto, traslocare dal Nord Ovest, svuotando la casa base abitata da più di mezzo secolo strapiena di ricordi e documenti di una vita, per stare con il mio figlio piccolo, che quindici giorni fa è diventato padre. La mia vita è stata ricchissima, piena di soddisfazioni e amori, e la lettera riconoscente che elencava le caratteristiche di noi genitori, messi tra le poche persone che ammirava incondizionatamente, mi aveva commosso profondamente e convinta a raggiungerlo. Mentre cambiavo la mia vita, cambiavo completamente me stessa senza rendermi conto fino in fondo cosa significava fare i conti da vicino con la morte e la malattia, ma anche con la profondità dei rapporti che contano e lo sbiadire di quelli che si allontanavano o allontanavo, perché non in grado più di accompagnare questa nuova me. Resettare tutto e aprirsi a pensieri, meditazioni e emozioni nuove cercando chi sta attraversando la messa in discussione di sé e del mondo scontato. Le tre donne che ho incontrato da lontano in questo ultimo mese per esempio.
Questa lunga premessa per ora finisce qui e mi serve a spiegare il mio allontanamento progressivo dalla società patriarcale degli uomini, quella che sgomita per occupare spazi di potere, per distribuire ricette di vita ai sottoposti, e quindi a tutte le donne, quella che depreda appena può, che si contrappone e si schiera costantemente ma nel tempo di un respiro cambia posizionamento a seconda di come gli conviene. Non sopporto più nessuna violenza, fisica o verbale, perché mi entra nel corpo così profondamente che si aggiunge alle altre ferite ricevute direttamente nella mia lunga vita. Se avete seguito questo mio blog avrete notato come alle denunce e alle riflessioni si aggiungeva sempre più sovente la ricerca collettiva di una via d’uscita da individuare, come diceva la Lorde, non con le stesse armi del padrone. E neanche con lo stesso linguaggio e lo stesso tono di voce aggressivo e prescrittivo. Non c’è più nessuno spazio da riservare alle false certezze e promesse con cui il potere, ma anche gregarie e complici, cercano di rabbonirci o cancellarci. Si torna a riflettere sulla fase di grande cambiamento che è stata la nostra giovinezza, la presa di coscienza che abbiamo raggiunto allora e che ci ha permesso di cambiare il mondo e noi stesse.
Per questo mi sono letta d’un fiato il libro di Ilda Boccassini “La stanza numero 30. Cronache di una vita”, e quello di Annie Ernaux, “l’evento”, che vi consiglio caldamente di leggere. Partono entrambi da vicende successe o iniziate negli anni sessanta, quando anche io mi affacciavo in una società che mi lasciava molto perplessa e da cui cercavo di isolarmi sovente scrivendo sul mio diario, dipingendo e frequentando mostre, iscrivendomi in ritardo all’università di Trento dove ho incontrato le prime femministe politiche. Luisa Passerini con cui ho iniziato femminismo e intervento politico nei dormitori degli operai immigrati e alle porte di Mirafiori, era un po’ una sorella e un po’ una intellettuale con cui ho iniziato quella fase ricchissima di presa di coscienza e di intervento che ci ha fatto diventare esperte del sistema politico ed economico e della liberazione a cominciare da noi. Anche Ilda racconta a partire dall’inizio anni 70, quando diventò anche madre come successe a me, la sua storia che si è decisa a scrivere oggi, in pensione, su sollecitazione di lettere che la ringraziavano per il suo lavoro e la stimolavano a raccontare. Ho comprato il libro scandalizzata dai titoli dei giornali e da commenti in rete, anche di molte donne, che la colpevolizzavano per avere scritto del suo amore per Falcone. Ilda è una donna che non si è mai piegata al potere e alle complicità interessate che diventavano tangenti e promozioni elettorali e governative di tanti magistrati. Per questo è stata sempre attaccata, minacciata e emarginata. Quella vergognosa parte della magistratura basata come la politica su correnti e organizzata quindi in clan, come le organizzazioni mafiose che avrebbe dovuto combattere. La vicenda Palamara ha finalmente fatto emergere quella corruzione endemica del terzo potere della nostra Repubblica che la Boccassini svela con fatti, nomi e cognomi. La storia italiana di stragi e impunità è inframezzata dalle vicende affettive e famigliari, dalle crisi e dalla descrizione delle ferite e dei tradimenti ricevuti, quasi una autocoscienza tardiva.
Anche Annie racconta il suo drammatico aborto alla fine degli anni ’60, quando si era appena affacciata alla scoperta della sessualità e alla ricerca del suo futuro professionale frequentando l’università. Lo fa con una crudezza e una coerenza dolorosissima che coinvolge nel profondo noi donne che da lì siamo partite per liberaci e cambiare il mondo. Lo fa mettendo in piazza il suo corpo e le sue emozioni e difese. Raccontando la vergogna e l’abbandono del medico a cui si è rivolta per abortire e che le ha dato pillole per consolidare invece il feto e l’ha abbandonata alla clandestinità e i suoi rischi. Mentre la si legge e si patisce con lei le ferite del corpo e della mente mi è venuto chiaro che nessun uomo, neppure in transizione o con impianto di vagina, può leggere e capire. Nessuno che non abbia nei geni e nelle sue radici la storia delle violenze subite da sempre dalle donne a causa della sessualità maschile può essere coinvolto nel profondo. Per questo il film che ha vinto il leone di Venezia, tratto dall’evento, è di una delle poche registe che sono riuscite a farsi spazio nell’industria cinematografica.
La terza donna si è appena suicidata e da morta è stata trasformata in un’eroina da molte e molti che l’hanno respinta, ridicolizzata e perseguitata in vita anziché aiutarla ed esserle grati per la lotta contro la tratta e la prostituzione che ha condotto pagandola sulla sua pelle. Darle la cittadinanza italiana che le serviva per vivere e farsi curare, riceverla con tutti gli onori nelle istituzioni, accoglierla come la sorella coraggiosa nei collettivi e riconoscerne il valore anziché lasciarla sola.
Persino un prete di Interris scrive di lei: “Una vera guerriera era Adelina, così si faceva chiamare anche se non era il suo vero nome. Grazie a questa giovane donna negli anni ‘90 furono denunciate 80 persone e 40 arrestate per sfruttamento della prostituzione….alla denuncia dei carnefici non è mai seguita la cittadinanza italiana, più volte promessa. Prima la burocrazia ha soffocato il suo sogno di normalità, poi neppure un cancro l’ha risparmiata e sembra che neanche abbia impietosito l’ufficio stranieri che gli avrebbe negato qualunque sussidio malgrado l’invalidità al 100%. Nessuna riconoscenza da parte dello Stato per il suo fondamentale contribuito al contrasto della criminalità organizzata.” E nessuna autocritica di Ombre Rosse e Nudm, a cui si era rivolta nel 2017 per combattere la prostituzione e la tratta, e da cui era stata respinta con l’affermazione che l’autodeterminazione delle donne prevedeva anche la scelta della prostituzione.
Nessuna gratitudine da parte dei mass media ai quali con slancio solidale lei raccontava il suo calvario affinché fosse d’aiuto alle ragazze rimaste nelle mani delle mafie. Voce scomoda, usata e poi gettata senza la minima considerazione per il sacrificio e il martirio di una testimonianza solitaria ed eroica.
Sui documenti restava albanese, nonostante i venti anni trascorsi in Italia. Ma lei ripeteva: “Se torno in Albania sono una donna morta, quelli che ho fatto arrestare mi ammazzano”. In realtà a firmare la sua condanna a morte e a spingerla metaforicamente giù da quel ponte fatale sono state molte mani, coperte da oblio, omertà e formalismo. Adelina è morta prima dentro e poi fuori, perché pugnalare un’anima è grave quanto sopprimere un corpo.
Con questa sofferenza atavica il mio corpo malato ha fatto i conti in questi ultimi giorni. Tenete conto in quel che scrivo e nel modo in cui mi posizionerò anche nel futuro.
Commenti:
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Grazie Laura. Una bella testimonianza a più voci la tua.
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Cara Laura, come sempre riesci a comunicare sentimenti e riflessioni che colpiscono a fondo. Un abbraccio. Rosanna
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Grazie. E un abbraccio a te, quarta donna di un racconto lungo e pieno di vita.
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Grazie Laura…sei sempre una fonte di ispirazione ineguagliabile. Seguivo le tue tracce fin dai tempi del tuo impegno parlamentare, poi ho avuto anche la fortuna di incontrarti e conoscerti e, da allora, intraprendere i percorsi di ‘anzianitudine’ con scioltezza, forte della tua tenacia e della tua attenzione attenzione autentica verso le persone, al di là di quello che si (s) parla di loro. Sei un mio punto di riferimento costante, illuminato e affettivo, e se c’è una cosa che ci lega indissolubilmente so che, fino all’ultimo respiro, cercheremo di cambiare questo (s)porco mondo…
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Grazie Laura. Tutte le ferite di una vita non si possono raccontare ma nel raccontare una ferita se ne possono intuire molte altre : la potrei definire empatia femminile, se fosse definibile questo sentimento che ci accomuna tutte. Adelina era nei nostri cuori eppure, anche noi, ce ne siamo scordate negli ultimi tempi. Complice la pandemia che ci ha rese sole e impaurite. E, in fondo, credo che anche la pandemia sia uno dei mali creati dagli uomini e, sicuramente curati con protocolli e politiche degli uomini. Ti abbraccio
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Grazie Laura, sei una persona veramente speciale
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Sono contenta del fatto che vai verso un miglioramento. Un grande abbraccio, a risentirti presto
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Un racconto potente che suscita tante riflessioni e forti emozioni. Grazie Laura
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care amiche mie, grazie per tutti i saluti auguri e commenti empatici che mi avete inviato in questi giorni. che Marella mi qualifichi così dopo che ha lavorato con me anni mi commuove. Perché lei sa, anche molte di voi, che so essere anche molto dura a volte, e di questo mi scuso. So che essere ecofem empatiche come siamo ci permette anche di essere chiare tra noi. un grande abbraccio circolare in attesa di riincontrarvi. Nel frattempo cerchiamo di fare rete e non scoraggiamoci
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Un caro abbraccio Laura, buona guarigione
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Grazie Laura del racconto sulla tua malattia ora risolta e grazie del racconto delle donne che citi, leggerò la Boccassini su tuo suggerimento. Auguri per tutto. Il nipotino porterà gioia nella tua vita visto che abiti vicino a loro baci Franca
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Cara Laura, molte grazie per il tuo bellissimo scritto. Sono contenta che l’operazione sia andata bene e ammiro la tua capacità di trarre da ogni esperienza nuova consapevolezza umana e politica. Un abbraccio Terry